Aprire un conto corrente è un’operazione che ognuno di noi compie almeno una volta nella vita, per depositare i propri risparmi in un istituto di credito bancario, ignorandone spesso le insidie. Come riportato nell’articolo 1823 del codice civile, il conto corrente è un contratto tipico, che può essere di due tipologie distinte: semplice o di corrispondenza. Se nel primo caso possiamo prelevare il denaro depositato solamente alla scadenza del contratto, nel c/c il correntista ha in ogni istante la capacità di disporre delle somme in suo possesso. Accanto all’ apertura di un conto corrente vi sono servizi associati, quali pagamenti e prelievi tramite carte di credito, assegni e home banking, canalizzazione di stipendi e la domiciliazione delle utenze.
In Italia i conti correnti sono garantiti dal Fondo Interbancario di tutela dei depositi, al quale aderisce la totalità delle banche nostrane e che tutela ogni conto sino a centomila euro. Le garanzie, tuttavia, non sono applicabili in caso di fallimento della banca, che rappresenta il maggior rischio per i correntisti. La solidità patrimoniale di un istituto di credito rappresenta così uno dei principali indirizzi per chi vuole aprire un conto corrente, sintetizzato nel Cet1 (common equity tier 1), acronimo che sta per il coefficiente di capitale primario. Il rapporto indica il patrimonio di base della banca con gli impieghi ponderati per il rischio; maggiore è l’indice, più la banca è sicura e solida. Compito del cliente è, quindi, quello di capire la reale affidabilità dell’istituto attraverso l’analisi del bilancio, senza farsi attrarre da tassi superiori alla media, che possono mascherare una difficoltà nel raccogliere capitali da parte della banca stessa.
Abbandonando per un attimo il rischio di fallimento di un istituto di credito, i principali svantaggi di un conto corrente tradizionale risiedono negli enormi costi di gestione e spese fisse. Per un cittadino privato, infatti, il bollo annuale arriva a 34 euro totali, mentre per un’azienda la spesa lievita sino ai 100 euro annui. Nella zona europea, le banche italiane hanno dei costi di gestione del conto corrente di circa 371 euro, contro i 114 della media Ue. Lo stesso discorso si applica ai tassi di interesse, dove il differenziale sui mutui è più alto di 132 punti base rispetto agli altri Paesi del continente. Considerando che l’apertura di un conto corrente è un progetto a lungo termine, basta sommare le spese gestionali per un periodo di dieci anni, con un peso sulle spalle dei correntisti che ammonta a quasi 4.000 euro.
I rischi di un conto corrente tradizionale, come abbiamo visto, sono molteplici. Con l’ingresso del 2016, inoltre, la nuova normativa europea sul salvataggio interno, denominata bail-in, coinvolge azionisti, obbligazionisti e correntisti in caso di fallimento della banca. Le nuove regole, entrate in vigore dalla direttiva della Bank Recovery and Resolution Directive, permettono agli istituti di credito in crisi di utilizzare fondi privati, soldi dei risparmiatori, invece di gravare sul bilancio dello Stato. Come ogni impresa privata e azienda, infatti, anche la banca è a rischio fallimento, e non esser più nelle condizioni di risarcire quanto depositato sul conto. La manovra del bail-in viene applicata secondo una gerarchia che va a toccare in prima istanza chi investe in strumenti finanziari più rischiosi, andando a coprire eventuali perdite. Il salvataggio interno viene così eseguito partendo da chi detiene azioni, obbligazioni a seconda del tipo e, in caso di necessità, conti correnti, libretti e conti deposito, fatta eccezione per i depositi inferiori ai 100.000 a soggetto.