Ci sono molte ragioni che portano una persona a non riuscire ad onorare i propri debiti. In questo articolo vedremo quali sono le conseguenze di tale situazione. In particolare, vedremo nei minimi dettagli cosa succede quando si subisce un protesto per aver emesso un assegno “scoperto” o per non aver pagato una cambiale.
Che cosa è il protesto?
Il protesto è, appunto, l’atto che ufficializza il mancato pagamento di un assegno o una cambiale. Funziona così: il creditore, cioè colui che avrebbe dovuto incassare il pagamento, si rivolge ad un pubblico ufficiale come un notaio (il quale assume così il ruolo di ufficiale levatore). L’ufficiale levatore chiede al debitore di saldare quanto dovuto. Se il pagamento non avviene entro 10 giorni, l’ufficiale levatore stesso si rivolge alla Camera di commercio che iscrive il debitore nel registro informatico dei protestati.
A cosa serve concretamente questa procedura? E’ importante per il creditore poiché sia per l’assegno che per la cambiale, il protesto è necessario per evitare la prescrizione (che annullerebbe il diritto di ricevere il pagamento) e per procedere in via esecutiva contro il debitore e tentare così di ottenere ciò che gli spetta. In realtà, come vedremo più in basso, si tratta di un atto che innesca reazioni da parte di molti altri soggetti, a cominciare dalle banche.
Prima di andare oltre, soffermiamoci però sugli aspetti tecnici della procedura di levata di protesto.
Procedura della levata di protesto
Quando il creditore si trova con un assegno scoperto o con il mancato pagamento di una cambiale, deve richiedere il protesto del debitore prima di tutto per evitare che il titolo cada in prescrizione. La prescrizione scatta dopo una determinata quantità di tempo dall’emissione dell’assegno e della cambiale e, di fatto, rende nullo il credito. Possiamo quindi vedere la prescrizione come la data di scadenza di un titolo di credito: oltrepassata tale data, l’assegno o la cambiale diventa carta straccia.
Queste sono le tempistiche entro le quali il creditore deve richiedere il protesto per evitare la prescrizione:
- assegno: entro otto giorni dalla data di emissione se l’assegno è pagabile nello stesso Comune in cui è stato emesso (è questa la maggioranza dei casi); entro quindici giorni se è pagabile in altro Comune. In realtà l’assegno resterebbe valido anche successivamente ma, oltrepassate tali tempistiche, chi ha emesso l’assegno può chiedere alla banca di non pagarli;
- cambiale: la prescrizione scatta dopo 3 anni dalla data di scadenza della cambiale (ci sono poi una serie di tempistiche diverse per casi di cambiale girata, le vediamo in un paragrafo “extra” in fondo all’articolo);
Come fa il creditore a dimostrare di non essere stato pagato?
Deve presentare i documenti di cui è in possesso all’ufficiale levatore che, come detto prima, può essere un notaio oppure un segretario comunale o un ufficiale giudiziario o un aiutante ufficiale giudiziario. La documentazione viene ritenuta autentica senza ulteriori accertamenti ma, se il debitore ritiene che i documenti non siano veri, può presentare una querela per falso.
La levata di protesto, a questo punto, è la dichiarazione formale da parte di un pubblico ufficiale, dove viene dimostrato il mancato pagamento o mancata accettazione del titolo di credito emesso. La produzione della prova documentale, essendo un atto pubblico, fa fede sino a querela di falso e non può essere disconosciuta in quanto tale. I soggetti abilitati a levare il protesto, e quindi a redigere la dichiarazione, possono essere:
- notaio
- ufficiale giudiziario
- aiutante ufficiale giudiziario
- segretario comunale
La constatazione equivalente
Il protesto permette a chi non ha ricevuto il pagamento di poter agire per vie legali, in modo tale da ottenere la somma dovuta da colui che ha emesso l’assegno scoperto. La constatazione equivalente è una dichiarazione del trattario, ovvero la Banca che deve pagare, collocata sull’assegno e che riporta il luogo e giorno della presentazione. La dichiarazione serve per attestare che l’assegno è stato presentato entro la scadenza e non pagato, e può esser rilasciato anche una stanza di compensazione, che si occupa di regolamentazione i rapporti di credito/debito tra le varie Banche. La constatazione equivalente assume la stessa validità ed efficacia della levata di protesto, con l’obbligo di essere comunicata alla Camera di commercio per la redazione degli elenchi dei protestati.
L’atto di precetto
Il precetto del titolo di credito è l’atto con il quale il creditore comunica al pubblico ufficiale il mancato adempimento da parte del debitore, che comporta un’intimazione di onorare l’obbligazione entro un periodo non inferiore a dieci giorni, termine per evitare conseguenze al protesto, tra cui il pignoramento dei beni.
La levata di protesto passa, quindi, per l’atto di precetto, scritto e redatto di seguito al titolo esecutivo (assegno/cambiale) con il quale deve essere notificato, nella stesa data o successivamente. L’atto, che costituisce fondamentalmente la fase preliminare all’esecuzione forzata, deve contenere, pena la nullità dello stesso:
- indicazione delle parti, quindi i dati anagrafici relativi a creditore e debitore
- data di notificazione del titolo esecutivo o la trascrizione integrale del titolo stesso, ovvero il giorno in cui è stato emesso l’assegno oppure riportare tutti gli estremi del titolo di credito
- domicilio, per le eventuali comunicazioni e riferito al comune dove ha sede il Giudice competente per l’esecuzione. In assenza di tale indicazione, le comunicazioni verranno effettuate nella cancelleria del Giudice
- sottoscrizione del precetto della copia notificata
Una volta passati dieci giorni, ed entro novanta dalla notifica, il creditore può iniziare l’esecuzione forzata, in caso di mancato pagamento della somma pattuita da parte del debitore.
I titoli di credito protestabili
I titoli che possono essere sottoposti a procedimento formale di protesto sono:
- vaglia cambiari: denominata più comunemente cambiale o pagherò cambiario
- tratte: cambiale che contiene l’ordine incondizionato, dato da un soggetto (traente) a un altro soggetto (trattario), di pagare alla scadenza indicata una determinata somma a favore di un terzo soggetto (beneficiario).
- assegni: bancario, postale, circolare, non trasferibile
Protesto dell’assegno bancario
Se la banca non è nelle condizioni di poter pagare il titolo e quest’ultimo non può quindi esser onorato, l’assegno diviene protestato, in quanto l’effetto è stato emesso senza autorizzazione oppure per mancanza di denaro sul conto corrente.
Il procedimento formale certifica il mancato pagamento al beneficiario della somma scritta, attivando il percorso di protesto e seguente iscrizione nel registro dei Protestati, nella lista della Centrale di Allarme Interbancaria (CAI), l’Archivio informatizzato degli assegni e delle carte di pagamento irregolari, istituito presso la Banca d’Italia ai sensi della legge 205/99.
Per il protesto di un assegno bancario il termine di presentazione è di otto giorni, se è pagabile nello stesso Comune in cui è stato emesso, mentre di quindici giorni nel caso debba esser effettuato in un altro Comune della Repubblica.
Protesto di una cambiale
A differenza degli assegni, la levata di protesto cambiario prevede la comunica del motivo per il quale la cambiale è stata rifiutata e, quindi, protestata. Il beneficiario, al momento dell’incasso della cambiale, potrà richiedere secondo l’art. 55 Regio Decreto n. 1669/1933:
- l’ammontare totale della cambiale
- gli interessi maturati dal giorno della presentazione
- le spese per il protesto
Il beneficiario, possessore della cambiale, può agire secondo due possibilità di azioni cambiarie sulla base degli articoli 49-50 Regio Decreto n. 1669/1933:
- azione diretta, rivolta contro gli obbligati principali, quindi l’emittente nel pagherò cambiario e il trattario/accettante nella tratta (o contro l’avallante dell’emittente o del trattario/accettante)
- azione di regresso, rivolta contro gli obbligati di regresso, ovvero i giranti nel caso del pagherò cambiario, mentre il traente e i giranti nel caso della tratta. Il creditore può rivolgersi all’ultimo girante o a qualsiasi dei giranti presenti sulla cambiale
Per iniziare l’azione di regresso è necessario l’atto di protesto, che attesta il mancato adempimento della cambiale da parte degli obbligati principali. Le azioni cambiarie hanno un termine di prescrizione, oltre il quale diventano inefficaci:
- le azioni cambiarie dirette vengono prescritte in 3 anni, a decorrere dalla data della scadenza della cambiale
- le azioni cambiarie di regresso in un 1 anno dalla data di protesto o da quella della scadenza del titolo, in presenza della clausola ‘senza spese’
- le azioni dei giranti gli uni contro gli altri e quelle contro il traente in 6 mesi, partendo dalla data in cui il girante ha pagato la cambiale, oppure dal giorno in cui è partita l’azione di regresso
Attraverso l’azione cambiaria diretta il creditore può dare immediato avvio all’esecuzione forzata, evitando di passare dalla fase di accertamento del giudice, in quanto il titolo cambiario è già di per sé sufficiente a dimostrare la sussistenza del proprio diritto.
Le conseguenze al protesto
Le conseguenze scaturite da una levata di protesto sono sia di carattere civile che amministrativo, ma non riguardano la sfera penale. Il mancato pagamento e conseguente denuncia da parte del creditore conduce ad effetti relativi all’inadempimento, che comportano il pignoramento dei beni materiali del protestato, costituzione in mora e crediti di titolarità del debitore. La possibilità di recuperare denaro da parte del creditore è legata alla situazione patrimoniale dell’individuo protestato, dato che sono pignorabili tutti gli averi di proprietà del debitore e quelli in suo possesso.
Per quanto riguarda la sfera amministrativa, l’emissione di assegno bancario o postale, senza provvista, può richiedere una sanzione pecuniaria da 516 a 3.098 euro. Nel caso di un assegno con importo superiore a 10.329 euro, o di violazioni reiterate, la multa pecuniaria va da un minimo di 1.032 a 6.197 euro. Le sanzioni amministrative vengono applicate nel caso in cui il debitore, entro sessanta giorni dalla scadenza del termine di presentazione, non ottemperi al pagamento dell’assegno, degli interessi, della penale (che ammonta al 10% della somma dovuta e non pagata) e delle relative spese per il protesto. L’inosservanza delle suddette sanzioni amministrative può esser punita con la reclusione.
Inoltre, i propri dati e informazioni personali vengono inserite nell’archivio elettronico di assegni bancari e postali, e nelle carte della Banca d’Italia. La levata di protesto significa inoltre una sensibile difficoltà nell’ottenere nuovi finanziamenti, a causa di una diminuzione del merito creditizio, oltre alla revoca di sistema, che comporta il divieto di emettere assegni nei seguenti sei mesi. Tale sanzione, tuttavia, può esser superata se il debitore riesce ad effettuare il pagamento, per cui è stato levato, nell’arco dei sessanta giorni rispetto alla scadenza del termine di presentazione dell’assegno. Discorso diverso e leggermente più complicato, invece, per il merito creditizio, dove gli istituiti bancari tendono ad opporre resistenza per future garanzie, fidejussioni prestate e altre linee di credito aperte dal protestato.
E’ reato emettere un assegno a vuoto?
Se firmiamo un assegno bancario o una cambiale scoperti, ovvero senza garanzie economiche, andremo incontro a sanzioni civili e amministrative, ma il protesto non costituisce reato penale. Nel caso di inadempimento di una obbligazione civile il debitore va incontro a sanzioni di carattere amministrativo, sintetizzabili nell’esecuzione forzata e nel pignoramento di beni mobili, immobili, pensione, stipendio e conto corrente.
Se un assegno è stato restituito dalla banca per assenza di fondi, il creditore può operare in maniera diretta verso il debitore anche senza l’azione di protesto, in quanto l’assegno costituisce di per sé titolo esecutivo. Avviene così una notifica dell’atto di precetto, con il quale si invita a pagare la somma concordata entro un limite di dieci giorni, superati i quali si procede con l’ufficiale giudiziario.
Il decreto ingiuntivo
La notifica del decreto ingiuntivo viene emessa dal giudice, che risponde alle prove scritte fornite dal creditore, attraverso titoli e fatture non pagate, rate di mutuo, scritture private e promesse di pagamento, cartelle esattoriali. L’ingiunzione costringe il debitore a pagare la somma dovuta verso il creditore, con un periodo della durata di quaranta giorni utili per poter estinguere il proprio debito o presentare ricorso. Se il pagamento non verrà regolato, si procede con l’esecuzione forzata e la successiva emissione dell’atto di precetto.
Il pignoramento dei beni
L’ufficiale giudiziario, munito di titolo esecutivo e con la facoltativa assistenza della forza pubblica, procede con il pignoramento ricercando i beni all’interno della casa del soggetto protestato e nei luoghi a lui appartenenti. La procedura ha inizio dagli oggetti che il giudice ritiene di maggiore e immediata liquidazione, come denaro contante, titoli di credito, monili preziosi e ogni bene che rappresenti un’affidabile fonte di guadagno. Gli averi confiscati possono essere affidati al cancelliere del competente ufficio giudiziario, e condotti in un luogo di pubblico deposito oppure lasciati ad uno specifico custode.
Per quanto riguarda le conseguenze sui beni immobili, vi è il rischio di arrivare a perdere la casa, che risulterà venduta all’asta ad un prezzo generalmente inferiore al suo reale valore di mercato. Il valore dell’immobile pignorato viene deciso dal giudice, che tiene conto degli elementi forniti dalle parti e da un esperto nominato secondo l’art. 569 del codice di rito. Oltre alla casa e al terreno, il termine bene immobile riguarda un’accezione più ampia, comprendendo edifici e terreni, costruzioni unite al suolo anche a scopo transitorio e tutto quello che fa naturalmente parte del suolo, come corsi d’acqua, sorgenti e alberi. Vengono considerati beni immobili anche strutture come mulini, bagni ed altri edifici galleggianti, se assicurati alla riva o all’alveo e pensati per esser utilizzati in modo permanente, oltre a tutti i diritti immobiliari suscettibili di scambio.
Il pignoramento immobiliare perde validità se non viene eseguito entro 45 giorni dalla vendita o dall’assegnazione del bene. La dichiarazione di vendita deve esser formulata con un atto depositato in Tribunale, sotto esplicita richiesta del creditore. Nei seguenti 60 giorni, con possibile proroga della stessa durata e per validi motivi, vanno depositati gli estratti del catasto e i certificati riguardanti iscrizioni e trascrizioni dell’immobile, risalenti agli ultimi vent’anni. Tali termini devono essere rispettati, altrimenti verrà dichiarato inefficace il pignoramento e la relativa procedura.
Quando invece le scadenze e gli atti vengono depositati, il giudice autorizza la vendita, che può esser eseguita seguendo due distinte modalità:
- vendita con incanto, in cui ogni soggetto interessato è legittimato a presentare un’offerta irrevocabile in busta chiusa, prestando cauzione. Tale modalità di vendita può esser utilizzata se il giudice crede che essa si verifichi a un prezzo superiore della metà, rispetto all’effettivo valore del bene
- vendita senza incanto, attraverso un’asta dove i soggetti interessati sono invitati a partecipare, sempre prestando cauzione
Una volta che il bene è stato aggiudicato, il giudice decreta il trasferimento della proprietà, ordinando la cancellazione delle trascrizioni e il rilascio dell’oggetto venduto.
Il pignoramento riguarda anche beni mobili, di arredamento e oggetti vari, presenti nell’appartamento che non risulta di proprietà del debitore. E’ infatti sufficiente che il soggetto protestato abbia la residenza nel suddetto immobile, affinché i beni in esso contenuti siano di sua proprietà, sino a prova contraria dell’effettivo proprietario.
Quando i beni pignorati non sono sufficienti
Se i beni materiali del soggetto protestato non bastano per coprire il debito o se i tempi di liquidazione si dilatano in maniera eccessiva, l’ufficiale giudiziario può interpellare il debitore riguardo l’esistenza di altri beni in suo possesso, non ancora pignorati. La dichiarazione del debitore deve rispondere al vero ed essere presentata entro quindici giorni, altrimenti le conseguenze a cui va incontro sfoceranno nel penale. Secondo quanto previsto dall’art.388 del codice penale, infatti, dichiarazioni false possono portare alla reclusione fino ad un anno e la multa a un massimo di 309 euro. L’ufficiale giudiziario, in tal caso, può verificare presso l’anagrafe tributaria, o in altre banche dati pubbliche, i beni da pignorare.
Il pignoramento dello stipendio
Nel 2005 la legge 311/04 sulla Finanziaria ha equiparato le disposizioni relative alla pignorabilità degli stipendi privati e pubblici. Tutti gli stipendi, dalle pensioni alle gratifiche, dalle indennità sino ai sussidi, non possono essere pignorati e sequestrabili, tranne in tali eccezioni:
- nel caso in cui il debito riguarda alimenti dovuti per legge, la pignorabilità è prevista sino ad un terzo degli stipendi, sempre al netto di ritenute. La quota è stabilita dal Tribunale o da un giudice da questi delegato
- se il debito è nei confronti dello Stato, o altri enti e imprese da cui il debitore dipende, e comprende il rapporto di impiego, la pignorabilità arriva sino a un quinto dello stipendio
- quando il debito riguarda tributi dovuti allo Stato, a Province o Comuni, è la pignorabilità si estende fino ad un quinto dello stipendio
Quando concorrono due o più situazioni menzionate in precedenza, la quota pignorabile non può estendersi oltre la metà, nel caso dei pignoramenti che abbracciano la sfera degli stipendi privati.
Cosa non può essere pignorato
Nell’atto di pignoramento, vi sono beni del debitore che non possono esser aggrediti e, quindi, tolti dal possesso del soggetto protestato:
- beni dal valore morale, come oggetti sacri, di culto e fedi nuziali
- beni di prima necessità, quali lavatrici, frigoriferi, forni, letti, tavoli e sedie
- beni alimentari e combustibili necessari al sostentamento per un mese, al debitore e ai suoi conviventi
- crediti aventi per oggetto sussidi di grazia, maternità e malattia
- beni indispensabili per lo svolgimento della professione o mestiere, nel limite di un quinto se gli altri beni non coprano il debito
L’ultima disposizione citata non è valida se si tratta di una società o impresa, dove il limite del quinto non sussiste, e si può così avviare il totale pignoramento dei beni.
Liberare i beni dal pignoramento
Attraverso una specifica ordinanza del giudice è possibile liberare i beni pignorati, nel caso in cui il debitore proponga la richiesta di sostituire, agli oggetti o ai crediti pignorati, una somma di denaro uguale all’importo dovuto, comprensiva di interessi e spese di esecuzione. La richiesta prende il nome di istanza di conversione e deve essere presentata in cancelleria assieme alla somma stabilita, non inferiore a un quinto (mentre nel caso di immobili si deve versare l’intera somma). Il giudice, decisa la quota da pagare, può stabilire, nel caso di beni immobili pignorati, che il debitore ottemperi la cifra totale per mezzo di rateizzazioni mensili (più i tassi di interesse), entro la scadenza di diciotto mesi. I beni vengono in tal modo liberati dal pignoramento, mediante l’ordinanza emessa dal giudice per la sostituzione. Se il soggetto protestato, in caso contrario, evita o ritarda i pagamenti di oltre quindici giorni dal termine prescritto, le somme versate contribuiscono ai beni pignorati e il giudice, su richiesta del creditore, ne ordina la vendita.
Può un protestato emettere titoli di credito?
Il soggetto che subisce il protesto di un assegno, o di una cambiale, va incontro anche alla revoca di sistema. Gli iscritti al Registro dei protestati e cattivi pagatori non possono quindi emettere cambiali né firmare assegni, sino a quando sussiste il protesto. L’unica alternativa per tornare ad emettere titoli di credito è quella di provvedere alla cancellazione del proprio nome dal registro, consultabile da chiunque ne faccia richiesta in quanto atto pubblico.
La riabilitazione e cancellazione per i soggetti protestati
La riabilitazione può avvenire in caso di pagamento effettuato nei cinque giorni successivi al protesto o, in alternativa, se il debitore ha adempiuto all’obbligazione non subendo, nell’ultimo anno, ulteriori protesti. Il provvedimento di riabilitazione viene, in questa maniera, rilasciato tramite decreto del Presidente del Tribunale della provincia di residenza su richiesta del debitore, che può così esser eliminato dal registro informatico dei protesti per opera della stessa Camera di Commercio.
Se il debitore, invece, non provvede a pagare i titoli, deve attendere il trascorrere di cinque anni per essere automaticamente cancellato dal registro dei protestati, ma il suo debito non viene estinto, motivo per cui il creditore può comunque procedere per vie legali al fine di rivendicare il proprio credito. La cancellazione dal registro informatico non passa da alcuna domanda né avvocato, avvenendo in maniera del tutto automatica a cinque anni dalla levata di protesto.
E’ possibile aprire un conto corrente per un soggetto protestato?
Non esistono norme o divieti specifici che impediscano ad un soggetto protestato di aprire un conto corrente (l’unico divieto previsto riguarda l’emissioni di assegni che è inibita per almeno 6 mesi). Di fatto però le banche si rifiutano di aprire conti e di intrattenere qualsiasi tipo di rapporto con un soggetto che ha avuto protesti, segnalazioni a centrali rischio ecc. E’ un loro diritto rifiutare l’apertura di un conto corrente? Sì, la banca ha la facoltà di decidere in piena libertà con chi instaurare un rapporto lavorativo.
Per risolvere questo gravoso problema è possibile rivolgersi a CONTO AMICO che consente l’immediata apertura di un conto per protestati e cattivi pagatori.